Afflitti dalle guerre e dall’incertezza economica, siamo sopraffatti dal timore che ogni scelta possa essere sbagliata. Per questo, ipnotizzati dal pauroso presente, smettiamo di pianificare il futuro. In che modo possiamo uscirne se non riprendendo in mano, ciascuno di noi, il proprio futuro?
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Oggi, come tanti novelli Lazzaro, siamo sbigottiti da una realtà imprevedibilmente diversa da quella che
ci era nota. Una situazione in cui, quasi ogni giorno, qualcuno sposta i nostri paletti di riferimento o calpesta le cose in cui avevamo creduto.
Non è che il mondo sia sempre stato un Eden ma, dal 1945, tra una repressione in Cecoslovacchia e una
guerra in Vietnam, ci siamo occupati prevalentemente degli affari nostri perché, per quelli internazionali, potevamo contare su incrollabili punti di riferimento: la NATO ci avrebbe difeso da attacchi militari; l’OMS dalle epidemie; l’ONU dalle contese geopolitiche. Per le cosucce private era il deprecato Stato che ci garantiva formazione, assistenza sanitaria, pensioni commisurate ai versamenti. Per decenni abbiamo anche trovato riferimenti: nei Partiti con sedi sul territorio; nei Sindacati sui luoghi di lavoro; nelle Parrocchie con l’oratorio e il campetto da calcio; nelle cene a casa di amici dove, a differenza di oggi al ristorante, si riusciva a parlare, confrontarsi e financo a confessare magagne.
Oggi, invece, spuntando la lista delle antiche certezze ci ritroviamo con: gli USA, che antepongono gli interessi economici nazionali a qualsivoglia etica; la Russia che sembra voler ricostruire l’URSS; la politica che, sparita dal territorio, cerca di assumere il controllo dei vecchi canali di comunicazione e invade i social network vomitandoci addosso slogan invece di informarci ed offrirci elementi di riflessione. Stanno anche scomparendo: edicole, luoghi di piccola aggregazione; negozi di quartiere e agenzie bancarie.
Resiste, come la fortezza Bastiani, qualche isola culturale e alcune istituzioni religiose, pur in carenza di vocazioni e frequentatori.
I social-media, attraverso quell’attrezzo che ci ostiniamo a chiamare telefono, ci stanno zombizzando. Per rendersene conto basta salire su un vagone della metro e guardarsi intorno. Così, dandoci l’illusione di un parco amicale espandibile a dismisura, ci hanno condotto ad un sostanziale isolamento e, approfittando di tale debolezza, sono assurti al ruolo di mainstream della cronaca e dell’informazione.
Un’informazione totalmente destrutturata, senza alcun autocontrollo professionale sull’etica e sulla veridicità dei contenuti, che espone i lettori culturalmente meno attrezzati, alle scorribande di bugiardi, falsi maestri e fanatici di ogni estrazione.
Ne consegue che un mutevole puzzle di paure attanagli tanti cittadini del mondo e che, tale situazione, venga artatamente cavalcata da molti astuti politicanti, da alcuni supermiliardari e da masse di personaggi mediocri, ma dal vasto seguito.
Esclusi i cavalieri dell’Apocalisse, ovvero i fanatici e gli approfittatori che seminano incertezze e paure, per tutti gli altri, sebbene in misura diversa, sono da ricostruire:lo stato d’animo, le relazioni, la fiducia in sé stessi, nella scienza e nelle istituzioni.
Da dove partire?
Non parlerò delle guerre e dei massacri in corso. Temo di non avere un vocabolario sufficiente ad esprimere l’orrore che provo. Non parlerò neppure delle utopie del ritorno ad un Eden che forse esiste solo nelle mie, nelle nostre nostalgie. Parlo di piccole ma fondamentali azioni concrete.
Ad esempio?
La ricerca ISTAT, sulla “Partecipazione politica invisibile” (informarsi o discutere di politica), pubblicata il 17 settembre, evidenzia un calo al 54,1% degli uomini e al 42,5% delle donne. I dati di partecipazione calano con il diminuire del livello di istruzione e con l’età. I giovani da 18 a 24, anni che lo fanno almeno una sola volta a settimana sono solo il 34,6%.
Qualcuno diceva “Se non ti occuperai di politica sarà la politica ad occuparsi di te”. Chiedere agli americani che non hanno votato o lo hanno fatto con leggerezza.
Per sentirci meno soli ed esposti alle tempeste dovremmo anche riannodare le vecchie relazioni o crearne di nuove. Troppo e troppo a lungo ci siamo isolati o abbiamo reagito con un’alzata di spalle o con un:” tanto non posso farci niente”. Ci sono persone che sono morte per lasciarci un mondo migliore e noi . . .
Possiamo e dobbiamo tornare a progettare il futuro del paese ma, il futuro del paese è fatto dalla sommatoria del futuro nostro e delle nostre famiglie. E, per quanto mi compete, il futuro finanziario non si pianifica pensando ai prodotti d’investimento ed ai loro rendimenti nominali. Il futuro si pianifica facendo emergere i bisogni e, caso per caso, persona per persona, cercando le soluzioni. Così facendo, sono certo che, se ciascuno di noi, uscendo dalla bolla del dubbio e dell’incertezza, farà del suo meglio, nel proprio ambito di competenza, le cose miglioreranno anche in termini più generali. Ci toccherà essere cittadini migliori. Responsabili del futuro proprio, di quello dei propri cari e, in definitiva del paese e, volendo spararla grossa: del mondo.
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